Appena posso ti farò un bonifico perché, cristo, dovrà pur essere ricompensato questo tuo intenso cazzo di lavoro nei miei sogni. Ed è da un po’ che mi domando perché gli arzilli si chiamano arzilli, se arzilli non sono.
La crudeltà dei sogni.
Che saremo pure insicuri, ma abbiamo altri pregi. In vino veritas. In vino vomitas. Pensieri sparsi per un quarto di secolo.
La terza guerra mondiale si farà per Facebook. O su Facebook. Facebook, che è eroina sotto forma di byte. E i bambini, che non sono di sinistra, ma dei fascisti del cazzo. I bambini che d’inverno fanno finta di fumare alitando nell’aria gelida.
Sparagli a Piero, sparagli ora.
Che se ti vedo arrivare, inizio a scodinzolare. Che quando vuoi andiamo. Ma se vuoi restiamo.
Perché nonostante tutto, è bello arricciare il labbro superiore per sentire di nuovo l’odore della tua bocca che hai lasciato sulla mia. Nonostante tutto, è bello.
I gay che solitamente sono belli, ma che è normale visto che non devono impazzire dietro alle donne.
Andiamo a ripetizione di vita per imparare a pensare a compartimenti stagni.
Trovare la pace tenendoti per mano sotto casa tua, il giorno prima di partire. Chi cerca trova e chi non cerca sta pure meglio. Cercare di farti innamorare da mille e cinquantaquattro – o mille e centotré, dipende da dove sei – chilometri di distanza. E non riuscirci. Che innamorare poi è un parolone, un verbo della madonna, mi basterebbe pensare. Farti pensare. A me. Un po’.
Ma te le immagini le fusa dei leoni? E le facce dei tamarri all’imbarco per Ibiza?
Partire è un po’ partorire.
Quella sera in riva al Tevere, a pesca di Siluri che non pescavo, con Carlo, che si pensava che Max Pezzali fosse morto perché alla radio davano solo canzoni sue.
Reprimo la voglia di scriverti come il tuo amico reprime la sua omosessualità. La paura per tue risposte sterili. Che capisco, ma che cazzo.
Quando mangiamo Kebab, finanziamo Al Qaeda? E se scriviamo Osama Bin Laden su Google, veniamo intercettati dall’EFFEBIAI? O dalla CIA?
Nedina, dove cazzo sei?
La tua bocca socchiusa quando ti baciavo. Per non farmi entrare del tutto. Va bene, sto sulla porta e mi accoccolo sullo zerbino, come i cani. Che tanto mi piacciono come animali, i cani.
La tua testa china dopo una carezza, o un bacio, o uno sguardo, o una frase.
Io che non vorrei romperti le palle, ma che poi lo faccio ugualmente.
E il prefisso di Bruxelles, o“Brooke – sells”, che è simile a quello di casa mia.
E te che finirai a prendere un caffè insieme ad uno che dice “prendiamoci un caffettino insieme”. Il mio stomaco che si solleva quando parlo di te, ma che torna subito al suo posto quando penso che non è lo stesso per te. Questione di tempi, alchimie. Forse gli orologiai potrebbero salvarci. Salvarci dall’asincronia dei momenti e mettere le nostre lancette sulla stessa ora. Forse. Oppure forse bisogna rivolgersi ai radioamatori che regolano le frequenze d’onda. Chissà.
L’undici settembre dei nostri cuori.
Le stelle che ancora brillano, anche se sono morte da migliaia di anni.
Qui dove sono ora, che fanno un sacco di pasta col sugo macinato, o al ragù, come odi dire tu.
L’apocalisse ci sarà quando tutte le melodie componibili con sette note saranno composte. E ci sarà silenzio finalmente. E pazienza. Andrea. Andrea Pazienza.
Le risposte che trovo quando non le cerco più. Che me le tengo, ma che mi impicciano in tasca come le monete da un centesimo.
Leggi il sole e prendi Brondi.
Il libro che t’ho regalato lo ritroverò fra decine d’anni in un mercatino dell’usato, con la stessa dedica. E allora, farò crostini col patè d’animo.
Avere venticinque anni, e sentirli. E ‘fanculo ai più vecchi che parlano col senno di poi. ‘Fanculo il senno di poi.
Il porno, che c’avrà pure fatto vedere prima del tempo com’è fatta una fica e capire dove metterlo, ma che c’ha fatto credere anche che tutte le donne volessero essere inculate e che a fine coito dovevamo schizzargli il nostro seme in faccia, o al minimo sulle tette. Che per carità, per alcune è pure vero, ma non per tutte – e se conoscete quelle per cui è vero segnalatemele.
I finti punkabbestia, i moderni punkabbestia, che chiedono spicci indossando scarpe da skater e giubbotti che valgono il triplo del fegato di un astemio al mercato nero degli organi. E i loro cani che non sono amanti della musica alta, dei concerti o dei rave, ma pazienza. E’ la moda.
Le tue mani sulla testa del mio cane, beato lui.
Le vetrine dei negozi per anoressici. E anche cagare è cultura se leggi al bagno.
Come sarà fare l’erasmus a Baghdad? Ma sopratutto, chi fotografa i fotografi?
Le volpi di notte nei parcheggi dei fast food che ti salutano. I mantici e i fenomeni da baraccone.
L’eleganza non è del riccio, ma del dobermann. E in ogni caso porterò avanti il progetto di liberare tutti gli uccelli, i pesci e le tartarughe della fiera dell’otto settembre. Lo farò anche da solo, ma se lo facciamo insieme, beh, sarebbe bello. Che magari ci riesce bene ed estendiamo la cosa a tutte le fiere del mondo. E poi sarebbe bello portare a far vedere il mondo a quella ragazza che non ha mai lasciato il suo paesino, così con l’occasione lo vediamo anche noi, anche se sono sicuro che non ci verrà, perché la paura la fotterà, come è sempre stato, e fotterà anche noi, perché la paura è contagiosa.
Il mio terrore inspiegabile di passare attraverso i metal detector all’uscita dei negozi. Io che ero un ladro in un vita precedente.
Ti regalerò a una foca, perché il contrario sarebbe poco animalista, ma soprattutto poco pratico.
Maledetto chi parla per citazioni, ma i virgolettati c’aiutano.
Farò di tutto per non morire con un felafel in mano. Giuro. Di sicuro so che non moriremo mai sdraiati sui poufs del Cafe des Holles di Saint Géry. Che hanno già tolto.
Il tuo non sbilanciarti, che fai bene, che lo capisco, ma cristo.
Se la cucina italiana non esisteva, che cazzo mangiavano nel mondo? E com’era Yoko Ono prima di incontrare Lennon?
Un concerto indie ci seppellirà. E se non ci seppellirà imbalsamerò la mia migliore amica e la terrò nel salotto.
MD, che è la formula chimica della merda. E pene capitali per chi porta i cani nei locali. Con musica assordante, s’intende.
Smaltiremo l’alcool ballando in luoghi dove odiano gli 80’s. Che se sei italiano sei marchiato, come FIAT, FIATo, puzza di usaTO.
E più cresco e più somiglio a mio nonno. E non c’è un cazzo da fare.
Chiodo scaccia chiodo che sul legno va bene, ma sul cuore, vaffanculo. Vasco Brondi che m’è entrato dentro come un virus. Dante. Dente.
Mi aspetto il meno da te, per avere il più. Facile. Affatto.
Comunità di recupero per i pezzi di lego spezzati e che non riescono più ad incastrarsi con gli altri pezzi.
Il maldischiena che viene a chi è troppo concentrato su sé stesso. Il mio maldischiena. Io che vorrei tutto e subito che poi non saprei che farmene. L’indecisione come malattia cronica.
Il Belgio che è una regno fondato sul fritto. Che poi è il paese dove verrò arrestato. Arrestato per spaccio internazionale di bidets, e i giornali belgi indignati titoleranno:Italiano tentava di tenerci pulito il culo.
La vulnerabilità dei cuori aperti.
Oggi alcool e fritto, domani frutta. Ma domani di nuovo alcool e fritto.
I messaggi che continuamente mandiamo con la speranza che vengano colti. Il tuo dribblare abilmente le mie aperture di cuore.
Ai cani che manca la parola. Ai padroni che manca il silenzio.
I tuoi occhi, che sono commercialisti che mi fatturano l’IVA su percentuali che per loro mai raggiungerò.
E a prescindere da quello che dicono le nostre carte nautiche: BUONANOTTE.
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