Una ricerca di quelle università di chissà dove afferma che un’alta percentuale di gente che si è suicidata, poco prima di compiere l’insano gesto si è lavata accuratamente capelli e denti. Shampoo e dentifricio prima di morire. Curioso. Anche se mi chiedo come hanno fatto quelli dell’università di so io dove a rilevare ciò. Metti uno che si è sparato in bocca, come fai a vedere se si era lavato i denti da poco?
Questa cosa della ricerca l’ho letta oggi pomeriggio in uno di quei giornali che parlano di tutto, dalla politica al gossip a come avere un addome a tartaruga in sette giorni. Il giornale in questione è uno dei tanti che puoi trovare nella sala d’attesa del mio terapeuta. Che poi all’appuntamento con lui non mi sono presentato. Poco prima che toccasse a me ho alzato i tacchi e me ne sono andato, e mi dispiace se ho preso un appuntamento a cui non mi sono presentato rubando il posto a qualcuno che magari ne aveva davvero bisogno – non che io non ne abbia. Il fatto è che lì davanti ho pensato: adesso entro e di che parliamo? Della solita storia? Ormai mi sono scocciato di ripetere sempre le solite cose. Sono stufo di sentire la mia voce dire sempre le stesse cose. Così ho preso e me ne sono andato. Poi il mio terapista m’ha chiamato, dopo. Lì per lì ho pensato di non rispondere, ma poi ho risposto e mi sono andato a ficcare nel bagno di casa mia, dove il cellulare non prende bene e ho detto: “mi scusi, ma ho avuto un incidente poco prima di venire, niente di che, un tamponamento, ma tra spavento, CID, telefonate all’assicurazione e visita al carrozziere, a me è passato di mente l’appuntamento, mi scusi”, sapendo che dall’altra parte deve essere venuto fuori qualcosa tipo:”mi …si, ma ho …to …..nte …co …ma di ven…, nient. d. che, un tamp.. ..nto, ma …vento, CID, telefo… all’….zione, vis… al ….rozz…., a me è …ass… di …te l’appunt…. ,…. scu…”
Paola è di là, in camera, a leggere, e io sono di qua, a vedere la televisione. Tra poco andrò di là e cercherò di carezzarla, farle un massaggio, magari di farci l’amore, proverò a dormirci abbracciato, ma so che con qualche scusa non mi permetterà di fare niente. Ormai è da un po’ che è così. Sembra che la freddezza le si sia depositata dentro e non se ne voglia più andare. A volte, con terrore, riesco a pormi la domanda: perché non mi lascia? E mi rispondo che se voleva farlo lo avrebbe già fatto. Forse, mi dico, questo è il suo modo di stare con me.
Le ho provate tutte: ho provato ad essere freddo e distaccato anche io, ho provato ad essere l’opposto, presente e premuroso, ho provato varie strategie per vedere le sue riposte, ma non ci sono state. Alle mie domande risponde che non c’è nulla e che sta bene, anche se a me non sembra, ma per non diventare una noia molte cose me le tengo per me, dentro. Dentro, dove ribollo di dubbi che mi lacerano e mi fanno vivere male.
Pensavo che andare a vivere insieme sarebbe stato d’aiuto al nostro rapporto, e invece no, non è stato così, anzi, ha solo dato la possibilità all’esercito di quelli che adorano dire “te l’avevo detto” di farmi vomitare addosso la loro frase preferita e tutte le loro teorie da scienziati dell’amore. Teorie che elaborano sugli altri, mai su se stessi.
A lasciarla, comunque, non ce la faccio.
Non so come prendere la notizia che Paola è incinta. Dovrei essere felice, ma non lo sono. Lei lo è, ma non condivide appieno la sua felicità con me, preferisce farlo con le amiche.
Il mio terapeuta dice che non dovrei fossilizzarmi. Che sono io che creo questo clima, che rendo tutto difficile, anche a lei, e che vedo cose che non ci sono, che creo problemi inutili. Il mio terapista dice di concentrarmi sul bambino, dice che concentrarmi sul piccolo in arrivo mi aiuterà, che tutto ciò ci farà riavvicinare a me e Paola.
Il piccolo è arrivato e io non ci raccapezzo niente. Ci ho provato a concentrarmici ma, anche volendo, è difficile perché Paola, anche se non me l’ha detto palesemente, non vuole mai che me ne occupi. Se lo porta sempre dietro quel bambino e io non so che farci. E questa, per inciso, non è una mia impressione.
Il mio terapeuta dice che se le cose stanno così, allora serve davvero qualcosa che ci riavvicini. Eh, grazie, c’è arrivato presto il dottorone! Se n’è accorto presto che il comportamento da stronza di Paola non era solo frutto della mia fantasia. Ma vaffanculo.
Qualcosa che ci riavvicini…
Se non ci ha riavvicinato un bambino, cosa può farlo?
Giro i canali alla tv annoiato, sdraiato sul divano mentre Paola se ne sta di là, in camera col praticamente “solo suo” bambolotto di carne.
Giro annoiato e lascio su un canale che nemmeno so qual’è perché ho sonno e mi sto per addormentare. E infatti mi addormento.
Mi sveglio con qualcuno che sta singhiozzando. Apro bene gli occhi e mi tiro su, cercando di capire se quel suono viene dalla camera, ma no, non viene da lì, così mi accorgo che viene dalla tivvù.
Ci sono due persone, un uomo e una donna, vicini, abbracciati e che si tengono le mani. Lei piange. Di fronte a loro, un uomo li intervista. La donna si riprende dal pianto e dice: “Non credo che ci sia dolore più forte”. L’uomo invece fa: “E’ stata una tragedia, qualcosa che ci ha cambiati profondamente”.
In sovra-impressione appare la scritta:
Sofia e Marco, i genitori del piccolo Thomas rimasto ucciso cadendo in un pozzo.
E poi lo dicono, dicono quello che voglio sentire. Il marito fa: “Da quando il nostro piccolo non c’è più, io e mia moglie siamo più vicini che mai”. E la moglie aggiunge: “Questo dolore, questa tragedia che ci ha colpito, ci ha unito molto, a volte sento quasi che siamo una cosa sola”.
Eureka, penso.
Sinceramente non me n’è mai fregato un cazzo di questo bambino. Mentre lo guardo che dorme nella culla penso: Chi è? Chi lo conosce? In fondo è con noi da pochi mesi. E per quanto ne so potrebbe anche essere non mio. Dubito, ma può sempre essere.
Paola dorme. Cercando di non far rumore prendo il nostro bimbo e lo giro a pancia sotto, con la faccia sul cuscino. Lo tengo fermo mentre debolmente si dimena e penso, per aiutarmi a fare quello che sto facendo, che sto tenendo un bambolotto e non un bimbo vero. Penso che molti bimbi muoiono da neonati perché soffocano nella culla e che questo sacrificio serve per un fine più grande. E penso anche se c’è qualcosa che provo verso questo bambino, la cui vita sento fluire via dalle mie mani, è gratitudine. Gratitudine perché sarà il mezzo per far riavvicinare me e Paola.
Paola mi sta dicendo tante cose brutte, ma è il giorno del funerale del piccolo e voglio aspettare, perché ancora la faccenda è fresca.
Paola se n’è appena andata di casa. Sento i suoi passi ancora per le scale. Non ci ha resistito nemmeno una settimana qui, da sola con me. Con tutta quest’aria di morte che c’è. Non ha detto nulla, ha detto solo che quel bimbo era la cosa più bella che le fosse capitata e che era felice si averlo avuto con me, ma che… poi ha iniziato a piangere. Mi ha detto di lasciarla stare e di non seguirla e che più in là verrà a prendersi le sue cose qui a casa.
Mentre piango, constato il mio fallimento.
Credo che mi andrò a lavare i capelli e i denti. E poi vedrò il da farsi.
FINE
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