Racconto della serie #ScrittoTantoTempoFa
Era la festa della mamma, ma il regalo lo fece lei a me.
Beh, sarebbe più onesto dire che me lo presi da solo. Un prestito diciamo, solo che lei non ne era al corrente. Appena trovo un lavoro, mi dissi, le restituisco tutto. Certo, non quello che mi ero preso. Sarebbe stato impossibile: era una catenina d’oro, probabilmente un regalo della sua comunione, o di qualche altro stupido rito cattolico, non so. Certamente una volta barattata per soldi, sarebbe andata persa per sempre. No. Non le avrei restituito la stessa catenina, ma una uguale, magari qualcosa preso al reparto bigiotteria del negozio dei cinesi sotto casa. A mia madre piaceva tanto la bigiotteria.
Entrai in quei negozietti che fuori hanno la scritta “Compro Oro”. Ricettatori legalizzati.
Non era la prima volta che lo facevo, ma non andavo mai dallo stesso, mi vergognavo. Mi vergognavo sempre di fare quella cosa.
Dentro trovai un uomo basso, mezzo pelato, con i capelli rimasti attaccati solo ai lati della testa e con gli occhialini da vista appoggiati sul naso. Era intento a fare parole crociate.
Arrivai davanti al bancone e dovetti bussare con le nocche sul vetro di sicurezza per avvertirlo della mia presenza.
“Sì, mi dica giovanotto”, disse l’omino abbandonando il giornalino di enigmistica.
“Guardi, ho questa catenina… volevo sapere quanto può valere…”, dissi con un filo di voce e, dal calore che sentii addosso, credo anche con il viso un po’ rosso.
L’omettino non disse niente. Prese la catenina, andò verso una bilancia in miniatura, pesò e poi tornò da me.
“Posso darle 60 euro…”
Non rimasi lì a tirare il prezzo per vari motivi. Primo perché avevo bisogno di quei soldi subito e secondo perché non sono mai stato bravo nelle trattative: una volta, in spiaggia, comprai da un venditore ambulante la triste imitazione di certi occhiali ad un prezzo quasi pari agli originali.
Accettai quei sessanta euro.
L’omino mi squadrò. Visto il soggetto che aveva davanti, sono sicuro, per la mente gli passò l’idea che quella catenina non doveva essere arrivata tra le mie mani in modi legali. Ma cazzo, no, non era roba rubata. Beh, certo, lui che ne poteva sapere. Vedendomi, anche io avrei pensato la stessa cosa. Comunque non disse niente.
Lui prese la catenina e io i soldi. Probabilmente lui aveva bisogno d’oro come io di denari, e infatti non s’arrischiò a chiedermi documenti o firme varie come la legge chiedeva per poi magari vedermi andar via infastidito.
Quando uscii, sentii per un attimo l’odore dell’estate, del caldo, come il profumo di una donna che ti passa accanto e piano piano si allontana. Pensai che per me, ormai, non c’erano più stagioni. Da un po’ di tempo a quella parte, solo una cosa scandiva le mie giornate, settimane, mesi, la mia vita.
M’incamminai.
Con quei soldi presi quello che dovevo prendere, e una volta appartato, feci quello che dovevo fare.
Seduto, appoggiato ad un muro di tufo, per un attimo, un pensiero m’incupì: a casa non c’era più oro da barattare, né altre cose di valore, per cui, fino a che qualcuno non mi avesse preso a lavorare, avrei dovuto iniziare ad imparare l’arte che molti miei “colleghi” già praticavano: rubare.
Per uno bene educato, rispettoso e un po’ timido come me, era un vero problema. La cosa che mi terrorizzava, non era tanto il finire in carcere o l’atto di rubare. Era più che altro l’ entrare in case altrui senza chiedere “permesso” o, magari, doversi scusare con qualche vecchietta che t’aveva beccato con la mano nella propria borsa. Chissà se ne sarò mai capace?, mi chiesi, ma dubbio e preoccupazione durarono giusto un attimo: l’eroina stava già iniziando a fare il suo dovere.
FINE