Racconto della serie #ScrittoTantoTempoFa, rientrante nella sotto categoria #IlMioPrimoRaccontoDelCazzo
1.
L’ispirazione arriva così, quando meno te l’aspetti.
Come trasportato da un soffio di vento qualcosa dentro si accende ed ecco la soluzione ad un problema, il soggetto per un film, l’idea per un romanzo e mille altre cose.
Questa cosa Luca la sapeva bene. Il più delle volte, le belle idee da scrivere lo venivano a trovare quando era in giro, quando stava in mezzo alla gente. Qualcosa dentro di lui stava lì in un angolino e mentre interagiva con il mondo esterno, continuava a pensare come se fosse un essere a sé. Questo qualcosa filtrava la realtà con quello che provava, vedeva e sentiva, lo impastava con quelle che erano le sue emozioni, paure, gioie, dolori ed esperienze, e sempre quel qualcosa di inconscio, faceva di tutto ciò un collage mentale e così, senza preavviso, si ritrovava da un secondo all’altro travolto da bellissime – o bruttissime – considerazioni sul mondo, sulla vita, sulla gente. Spunti per scrivere una storia, idee per un romanzo, il suo. Il problema era che se anche aveva a disposizione carta e penna, ogni idea, al momento di scriverla, non gli sembrava più degna di essere scritta. Succedeva anche che se iniziava a scrivere qualcosa tutto lentamente spariva, la magia che aveva portato quell’idea spariva, finendo per fargli apparire ciò che stava facendo inutile e ridicolo.
Quello che gli mancava era un bagaglio più grande di esperienze, allenamento a scrivere e qualcuno che credesse in lui: se stesso in primis. Ma di una cosa era sicuro: scrivere era ciò che gli piaceva di più al mondo. Questo desiderio era nato leggendo. Era mentre leggeva che l’impulso di scrivere cresceva sempre di più. Quello che lo affascinava di più era la capacità degli scrittori di descrivere così bene un’emozione o un sentimento, facendo riconoscere pienamente il lettore in esse. Il tutto con delle semplici parole scritte su un foglio. Parole, semplici parole che riuscivano ad arrivare dentro una persona, fino in fondo.
Era affascinato dal fatto che leggendo, molte volte, si rivedeva completamente in qualche personaggio frutto della mente di qualche autore e, soprattutto, di come questo lo facesse sentire meno solo.
Questo voleva fare, voleva trasmettere emozioni, pensieri, sensazioni, paure e gioie. Voleva comunicare con la scrittura e far sentire la gente meno solo con se stessa. Voleva smascherare le paure, quelle più nascoste. Voleva creare personaggi che vivevano le sue stesse ansie perché credeva che esse fossero come dei vampiri: messe su carta stampata, alla luce del sole, sarebbero diventate nient’altro che polvere. Voleva che un giorno, chi avrebbe letto qualcosa di suo, potesse ritrovare ciò che lo spaventava, una sua paura, trasformata in parola scritta e, grazie a ciò, vedere che non era l’unico a provare certe cose. Voleva far sentire le persone meno sole con i propri “mostri”.
Voleva, voleva, voleva.
Avrebbe voluto scrivere molte cose.
Alle 23: 45 di un sabato sera, durante una festa in un giardino di un suo amico, dopo aver bevuto qualche birra di troppo sentì l’impellente bisogno di andare al bagno.
Il cesso era occupato, così uscì dalla proprietà e, come un cane, si mise a pisciare addosso ad una colonnina dell’Enel poco lontano dalle risate e dalla musica della festa.
L’alcool gli dava una leggera euforia che rendeva sereni i suoi pensieri.
Il caso, il destino, Dio, qualcuno, qualcosa o forse niente volle che il getto della sua urina entrasse in contatto con un filo rosicchiato dai topi che usciva appena da quella colonnetta elettrica, ormai vecchia e logora.
La scossa fu immediata. Non sentì quasi niente. La musica e le luci intorno cessarono. Sentì un gran caldo. Sul suo viso apparve un sorriso ironico per aver capito come era stata buffa la morte a portarselo via così, con una pisciata, e poi…niente più.
Il mondo sarebbe andato avanti senza di lui e senza i suoi romanzi.
Luca era donatore di organi.
2.
Alle 3:12 di un caldo sabato notte d’estate il telefono di villa Dastia squillò.
Il telefono quella notte non svegliò nessuno in quella casa.
Sandro Ghintoni, come molte altre notti da un po’ di tempo a questa parte, non dormiva molto, per cui, essendo già sveglio, al secondo squillo aveva già risposto e la sua tempestività nel rispondere permise un sonno ininterrotto a sua figlia Alessia.
Una voce molto seria e professionale, dall’altra parte del telefono, gli annunciava che era disponibile quello che da tempo aspettava: un cuore nuovo.
Sandro Ghintoni aveva pensato molte volte a quella telefonata. Aveva pensato molte volte al momento di quella decisone da dover prendere nel giro di pochi secondi: accettare il trapianto o rifiutare.
Accettare era come gettarsi in un pozzo, nero e freddo, per afferrare la vita là in fondo, ma non esser certi, una volta afferratala, di trovare una scaletta per risalire.
Rifiutare invece, beh rifiutare era un tirare a campare un altro po’. Sì, ma come? E fino a quando? Poco.
Un momento unico.
Un misto di paura ed indecisione lo assalirono come cani un branco di lupi affamati. Solo la foto di sua figlia sul comò e la voglia di stare ancora molto tempo con lei gli fece rispondere Sì a quella difficile proposta notturna.
Dopo quella telefonata, ci fu la corsa in ospedale, ci furono le ore e ore di intervento, il trapianto, le incertezze, la paura di un rigetto.
Solo dopo un po’ di tempo arrivarono le prime sicurezze ed infine un lento ritorno alla vita.
Fu proprio nei giorni della convalescenza, i giorni della nuova convivenza con un cuore “estraneo”, i giorni che lasciavano più sperare che disperare, che Sandro poté sgomberare un po’ la sua testa da qualche preoccupazione e poter, costretto per molto tempo a riposare, riflettere sulla sua vita e su quello che gli era accaduto.
Ghintoni era stato uno scrittore di fama internazionale. Aveva vinto molti premi e aveva avuto molti riconoscimenti. Durante la presentazione del suo terzo libro conobbe Paola, che due anni dopo sarebbe diventata sua moglie. Il frutto del loro amore fu Alessia, il dono più bello che avesse mai desiderato. La vita di Paola fu stroncata da un camionista ubriaco quando Alessia aveva solo sei anni. Sandro, nonostante il dolore per una perdita così grande, crebbe sua figlia da solo, contando anche sui guadagni che i suoi romanzi gli garantivano. Poi però, forse anche colpa del dolore, il suo cuore iniziò ad ammalarsi e pian piano arrivò il giorno in cui gli comunicarono che si sarebbe inevitabilmente fermato da lì a poco più di un anno. L’unica soluzione era trovare un cuore nuovo. Sandro dopo la notizia della malattia non riuscì più a dominare i suoi pensieri. Pensieri che col passare del tempo diventavano ossessivi, rendendo le sue notti insonni. Era ossessionato dal dovere lasciare sua figlia da sola dopo la sua morte. Ovviamente tutto ciò sfociò in una nevrosi che inevitabilmente inquinò anche la sua creatività. Non riuscì più a scrivere qualcosa che lo soddisfacesse. Sentiva sul collo l’alito della morte. Il suo editore voleva un altro suo libro per dovere di contratto, ma lui, anche sforzandosi, non riusciva più ad avere un’ispirazione, tutte le sue idee venivano strozzate dalla paura di morire, dal terrore di sapere che Alessia avrebbe dovuto sopportare, oltre che la perdita della madre, anche quella del padre.
Si rinchiuse sempre più in sé stesso e così abbandonò la scrittura, la sua più grande passione, di cui ne aveva lavoro.
Ma ora che aveva in petto un cuore nuovo, riacquistava giorno dopo giorno sicurezza.
Un giorno, mentre faceva un sonnellino pomeridiano, si svegliò di soprassalto. Non riuscì a capire bene cosa lo avesse destato così malamente. Forse un incubo, pensò.
Si sentiva tremendamente inquieto ed agitato. Era preoccupato perché il suo cuore batteva più forte del normale e non accennava a fermarsi.
Stava per chiamare il suo cardiologo quando d’un tratto quella spiacevole sensazione sparì per lasciar posto ad una serenità d’animo che, forse, mai aveva provato in vita sua.
Così di colpo passò da uno stato di paura a uno di pace e benessere.
Quasi fosse in trance si alzò, andò verso la scrivania e fece quello che da tempo non faceva più. Come un fiume in piena travolse quei fogli bianchi di parole. Scriveva come non aveva fatto mai. Sembrava che gli stessero dettando la storia che stava scrivendo, quell’ispirazione non finiva mai. Piano piano stava prendendo forma un romanzo.
Solo alla fine, quando rilesse tutto, dopo circa un mese di produzione ininterrotta, prese coscienza che quella era la migliore cosa che aveva “partorito” in tutta la sua carriera da scrittore.
Appena il libro uscì in commercio stabilì subito un record di vendite.
Il grande successo di quel libro fu dovuto alla storia che conteneva.
Sandro aveva passato da parecchio i vent’anni, ma durante la scrittura di quel romanzo, a distanza di molti anni da quell’età, riusciva molto chiaramente a ricordare tanto di quel periodo della sua vita. Quel periodo in cui si ha davanti solo un grosso punto interrogativo, larghe ed infinite distese che la sola vista fa sentire perduti.
Quasi fosse tornato indietro nel tempo ritrovava tutte quelle sensazioni di allora. E non solo. Riusciva ancor più profondamente anche a capire finalmente molte cose dei giovani d’oggi, molti comportamenti di sua figlia per lui finora incomprensibili.
La critica e i suoi lettori erano concordi nel dire che tramite il personaggio cui aveva dato vita nel romanzo era riuscito ad interpretare e a dare voce a quel grido di noia, solitudine e ansia che la generazione di sua figlia stava gridando. Quella generazione cresciuta a suon di Grandi Fratelli e “tronisti” di “Uomini & Donne”, cresciuta con il comando di valorizzare sola la forma e mai la sostanza, l’aspetto fisico e non l’anima.
Grazie a lui molti ragazzi riuscirono ad identificarsi con quel personaggio, con le sue emozioni, sensazioni, pensieri e sentimenti e sentirsi meno alieni sulla terra.
E Sandro Ghintoni non poteva che starsene lì a godersela, anche se in cuor suo sentiva qualcosa di strano, come se… beh, sì, come se non fosse stata proprio tutta farina del suo sacco.
FINE