Soccorritori sconosciuti dall’aspetto poco sano. Nani da giardino. Violazione di domicilio. Vino scadente. Debora. Cartucce caricate a sale. Feet worship.
Questo è più o meno quello che trovate nel mio racconto (inedito) “Il peso dell’anima di un nano da giardino” pubblicato sul numero di questo mese di Umbria Noise.
Sono 3946 battute, spazi inclusi, quindi 5, massimo 6 secondi e l’avete letto.
Umbria Noise la trovate un po’ dappertutto (e se lo trovate, fermatevi a leggerlo), sennò qui c’è la versione interamente sfogliabile online (“Il peso dell’anima di un nano da giardino” lo trovate a pag. 32) – http://bit.ly/29AfY0R
Sempre grazie a Giulia Coletti e Matteo Schifanoia.




Prima ero nella sala d’attesa dell’oculista. C’ero io, che attendevo che l’effetto delle gocce che mi aveva messo il medico per dilatare le pupille svanisse, e c’era una signora un po’ anziana.
Ok, sono giuste tutte queste ordinanze contro i botti, per carità, i nostri amici animali e bla bla bla, ma vorrei far notare che così facendo andiamo ad uccidere una categoria di persone che con i botti, indirettamente, ci vive: i ditari.

Scese in fretta le scale, senza fare rumore con i piedi scalzi. Seguì Brett in cucina. Indossava solo i pantaloni del pigiama di colore celeste, con i lacci bianchi di cotone che gli pendevano dalla vita poco sotto il cavallo. Anche se non si era ancora a metà dell’estate, era già molto abbronzato perché era scuro di carnagione, proprio come suo padre.