MARITOzzo

Roma. 25/12/2008. Ore 18:00

Alla tv danno Edward Mani di Forbice. Un classico a Natale. Lo danno sempre.
La mia tristezza cresce.
La malinconia dilaga.
Cambio canale: c’è un presentatore, è schizzato. Dai primi piani si vede bene che ha le pupille dilatatissime. Ha gli occhi di un gatto di fronte ai fari di un auto. Il presentatore cocainomane si raccomanda col pubblico: “Siate più buoni, è Natale”.
Giro canale: cambia presentatore, ma è chiaro che ha lo stesso vizio del collega. Anche lo slogan è uguale: “Siate più buoni, è Natale”.
Natale, Natale, Natale…
In tutti i canali ci sono cantanti, attori, maghi, bambini, vecchi, preti, politici, showgirl e showman che pregano i telespettatori di essere “più buoni”. In me generano solo la voglia di essere l’opposto.

Ecco, me le vedo quelle due arpie. Me le vedo mentre come due iene strappano a morsi la carne del tacchino dalle ossa. Tra una grassa risata e un “passami dell’acqua per favore”, bocche simili a quelle di una tigre dilaniano carne bianca e rossa. Me le vedo mentre ingurgitano quantità sproporzionate di pasta. Verdure a go go. Quintali di dolci e dolciumi. Dal cenone di ieri sera avranno mandato giù così tante calorie da sfamarci l’intero Burkina Faso.
Me le vedo quelle due streghe in sovrappeso, servite e riverite da quella vecchia cicciona. Quella vecchia obesa che non riesce ancora a credere di avere a casa per Natale la propria figliola e la propria nipotina. La vedo, la madre della mia ex moglie, in cucina, mentre ravviva l’insalata: si ferma un secondo, guarda davanti a sé, sorride. E’ felice la nonna. Finalmente il suo sogno si è avverato: figlia e nipote sono lì con lei. La figliol prodiga è tornata a casa, uccidete il vitello grasso! Uccidiamo lei!
Fa niente se il terzo incomodo, quello “stronzo” dell’ex marito della figlia, non c’è. Che se ne resti a casa da solo, “il fallito”.
In realtà non sono solo: c’è il mio vino con me. Vino in scatola, puro metanolo, il migliore. Picca in gola quando va giù, ma in fondo è come quando si prende lo sciroppo: non è buono da bere, ma fa bene, quindi stringo un po’ i denti e aspetto gli effetti benefici.

Cambio canale, di nuovo. Trovo un un programma presentato da un vecchio ciccione – un tempo ancora più grasso – mezzo pelato e con i baffi. Ci sono dei ragazzi intorno ad un tavolo – ognuno è un relitto di qualche reality show. Litigano. Volano parole grosse, tra due concorrenti in particolare. Uno grida all’altro “frocio”. L’altro gli urla “negro”. Due signore del pubblico si alzano, applaudono e gridano “Buu buu”. Il presentatore non interviene. Tutto ok. Interviene solo quando non succede nulla e lo share s’abbassa.

Chissà se quest’anno cadrà la neve. Non ho mai ricordato un natale con la neve. Il tipico natale da film non l’ho mai visto. Voglio un natale con la neve. Desidero il natale da favola.
Mi affaccio speranzoso alla finestra: il cielo è stellato. Niente favola, solo incubi.
C’avevo sperato nella neve, mi avrebbe fermato. Forse.

Il costume mi va stretto. È da un po’ che non lo indosso. Anni. Quanti? Beh, vediamo…ehm…lo presi quando Giulia aveva tre anni, ora ne ha sedici, quindi…beh, non ho voglia di fare calcoli. Certamente da allora mi sono ingrassato. Gonfiato.
Solo il cappello è della misura giusta. Evidentemente il cervello è rimasto sempre lo stesso: non è cresciuto, ma neanche è calato. Buon segno, di questi tempi…
La barba finta non la metto, mi prude.
Lo specchio mi ridà l’immagine del tipico babbo natale fallito: barba sfatta, occhi gonfi e rossi ed una bocca tremendamente seria. Sul taschino a sinistra, sopra al cuore, c’è scritto: ”Merry Christmas”.
“Oh Merry Christmas a te!” dico al Babbo Natale fallito dello specchio.

Zapping, ancora. Mi fermo su un programma che mostra le mete più ambite per le vacanze di natale: Zanzibar, Polinesia, Indonesia e bla, bla, bla. La presentatrice, una zitella dai riccioli biondi, dice che per andare lì a Natale ci vogliono “solo 3000 euro a settimana”. Solo 3000 euro!
Spengo la tv.
Chiudo.
Off.

Mi metto ad imitare Babbo Natale. Imito il Vecchio vestito di rosso che a dicembre, tutti gli anni, ci perseguita. Mi perseguita.
Con la voce un po’ gonfiata, nel silenzio di questo schifoso appartamento, mi metto ad urlare:
“Merry Christmas, oh oh oooh, merry Christmas, merry Christmas.“.
Nella scatola del vestito c’è anche un campanaccio. Lo prendo ed accompagno il mio jingle natalizio scamapanellando:
“Merry Christmas, oh oh oooh” Din Don. Din Don. “Merry Christmas, oh oh oooh, merry Christmas“. Din Don. Din Don.
Imito Santa Claus in tutto e per tutto. Peccato che io non sia buono come lui.

Nonostante il casino che faccio nessuno bussa sul muro, nessuno viene a lamentarsi. Sono tutti fuori casa, tutti ad ingozzarsi con la famiglia insieme a qualche altra fottuta famiglia. Solamente io sto da solo. Abbandonato.

Me l’aveva detto il vecchio, il padre di mia moglie.
”Sei un bravo ragazzo tu, questa qua ti farà penare. Non ha cervello.”
Mi disse anche “tale madre, tale figlia”, confidandomi delle innumerevoli volte in cui sua moglie lo aveva tradito. Lui non aveva mai avuto la forza di lasciarla e, nonostante tutto, l’aveva sempre perdonata.
Mi diceva sempre:
“Noi non siamo mariti, siamo dei MARITozzI”
Il “MARITOzzo”, ecco come mi chiamava amichevolmente lui. Aveva ragione. Sono stato tonto. Un coglione. Ma posso sempre rimediare.

Poco fa hanno suonato alla porta. Era un ragazzino. Aveva un’aria triste, certo non come la mia, ma comunque triste. Avrà avuto sui sedici anni. Cercava mia figlia.
“È fuori con sua madre…”, gli ho detto.
“Beh, se la vede le dia questa,” mi ha detto lui dandomi una lettera.
Non ho fatto in tempo a chiudere la porta, che già l’avevo aperta.
Nella lettera il ragazzo scriveva, in poche parole, di aver scoperto che mia figlia stava contemporaneamente con un altro tipo, che non se lo sarebbe mai aspettato da lei, di avere il cuore a pezzi e….bla, bla, bla.
Un altro maritozzo.
Tale madre tale figlia, tale figlia della figlia.

Oh, ecco la mia nuova amichetta. Il mio regalo di natale. Eccola qua. È bello accarezzarla.
L’ho presa da un privato, usata: doppietta mod. Superlight cal. 12, monogrillo, ejector, canne 76 Cm. 4/2, bascula cromata, incisione eseguita a mano, calcio a pistola e asta a castoro.
Settecento euro in contanti: era il sussidio di gennaio per la mia ex moglie e la mia ex figlia, ma tanto a loro non servirà.
Fucile in spalla e campanaccio in mano. Sono pronto per uscire.
“Merry Christmas, oh oh oooh” Din Don, Din Don. “Merry Christmas, oh oh oooh, merry Christmas“ Din Don, Din Don.

Ostia. 25/12/2008. Ore: 20:00

Voglio morire. Non ce la faccio più. Fatemi morire.
Nel 1817 il dottor James Parkinson scoprì una malattia, un morbo, a cui diede il suo nome. Centonovantadue anni dopo la sua scoperta, quel morbo affligge centinaia di migliaia di persone. Io sono tra queste.
Soffro. Soffro come un cane, anzi no, i cani stanno meglio.
Durante la giornata ho solo pochi quarti d’ora di pace. Per il resto il tremore è il mio stato naturale. Non riesco a muovermi più. Non cammino più. Voglio morire. Uccidetemi.
Questa malattia ti riduce il corpo in una carcassa. Diventi un diapason che vibra quasi tutto il giorno. La cosa subdola è che il cervello rimane praticamente intatto, sano, per cui sei cosciente di come ti stai riducendo. Sei cosciente di essere intrappolato in una gabbia fatta di ossa, carne moscia e muscoli atrofizzati. A volte urleresti, ma quel che esce è solo un mezzo bofonchio. Sì, perché non riesco nemmeno più a parlare. Avete presente il Papa, Karol Wojtyla? Ve lo ricordate negli ultimi tempi, prima di dirci ciao, ciao? Ve lo ricordate con quella bocca da una parte e la lingua dall’altra? Ogni discorso che faceva era una sorta di lungo lamento. Ricordate? Beh ecco, io sto così. Solo nei pochi minuti in cui il tremore si attenua, riesco a diventare di nuovo padrone della parola. Solo in quei momenti torno a parlare e non a mugugnare.

So che a breve mi manderà in uno ospizio la stronza. Io non voglio andarci, voglio semplicemente morire. E basterebbe così poco…
Mia moglie vuole mandarmi all’ospizio perché non mi vuole più tra i piedi. Vuole che il suo amichetto, quello del centro anziani, entri in casa (mia) senza imbarazzi. La mia presenza è scomoda per i loro incontri.

Ora è tornata a casa anche nostra figlia, che ha lasciato il marito e se n’è tornata da ‘mammà’. S’è portata dietro anche la sua di figlia, mia nipote.
La figliol prodiga è tornata a casa, uccidete il vitello grasso! Uccidete me!
Poveraccio il marito. Lo chiamavo “MARITOzzo”. Il giorno che mi disse di voler sposare mia figlia lo avvisai:
”Sei un bravo ragazzo tu, questa qua ti farà penare. Non ha cervello.”
E infatti eccola qua: con un coscio di vitello infilato in bocca, parla con sua madre del manager o dell’assicuratore di turno di cui si è innamorata. Mia moglie e mia nipote ascoltano, sorridono.
Tale madre tale figlia, tale figlia della figlia.

Mia figlia. Ci mancava lei tra i piedi. Ora, quando riesco a parlare, e a poter esprimere i miei desideri di morte, non perde occasione per dirmi:
“Papà, non dire così, tu devi restare con noi.”
Curioso: proprio lei che è d’accordo con sua madre nel mandarmi all’ospizio, vuole che resti. E poi ‘restare con voi’ un dannato cazzo. Ogni minuto di vita è un minuto tolto alla pace della morte – anche se a dire il vero, qui, sto già sperimentando l’Inferno.

Mia nipote smette un attimo di ascoltare sua madre e di violentare con le dita il suo cellulare. Si avvicina a me. Per un attimo penso che sia venuta a pulirmi la bava. Che cara nipote che ho, penso. Penso male. Dalla tasca, tira fuori un pennarello nero. Mi disegna qualcosa sopra la bocca, probabilmente dei baffi. Non posso muovermi, ma se potessi la strangolerei. Ride. E’ soddisfatta. Io non posso dirle niente, posso solo mugugnare. Mia figlia e mia moglie non se ne accorgono, si saziano continuando a parlare di uomini .

Suonano alla porta.
Va ad aprire mia moglie.
Qualche istante e poi…BANG!
Uno sparo.
Il mio battito cardiaco non accelera, né decelera.
Sento dei passi pesanti avvicinarsi.
Dalla porta spunta un uomo: è Babbo natale! Babbo natale con una doppietta.
Tiene per i capelli il corpo esanime di mia moglie. La tira su con poco sforzo, come fosse una di quelle grandi bambola antiche, e la sbatte sul tavolo: ha un buco grosso come un pugno sullo sterno. Il suo volto è immobile in una smorfia di dolore.
Mia figlia e mia nipote non smettono di urlare. Si sono rannicchiate dietro la mia poltrona. Urlano come cinghialetti smarriti.
Babbo natale si gira e viene verso di me. Ora lo vedo bene in volto. No, non è Santa Claus: è il MARITOzzo!
Viene verso di me. Ma non è me che vuole. Prende sua figlia per i capelli. La strappa dalle braccia della madre, poi con un calcio nei reni la manda a sbattere sul tavolo, sopra la nonna. La ragazzina sviene.
Il MARITOzzo passa a sua moglie. Trascina fuori da dietro la mia poltrona anche lei. Mia figlia urla, strepita. Lui è impassibile, sembra un robot.
Io guardo tutto senza emozione.
Con una spinta la mette a sedere sull’altra poltrona. Immediato, le spara un colpo in un ginocchio. BANG!
Il resto della gamba di mia figlia, da dove ha preso il colpo in giù, si tiene con una specie di filo: credo sia un nervo.
Babbo natale prende altre due cartucce dalla tasca. Intanto mia nipote si riprende. Prova a scappare, ma il MARITOzzo, anche se occupato a ricaricare il fucile, se ne accorge e con un calcio piazzato in grembo, la stende a terra. È in formissima il ragazzo.
Il MARITOzzo torna a sua moglie, che per quanto urla, riesco a vederle bene l’ugola. Carina.
Qualche secondo, poi un colpo, e anche l’altro ginocchio è andato. Le urla di mia figlia arrivano a frequenze inaudite.
Nel frattempo, mia nipote, instancabile, si rimette in piedi. Di nuovo si rialza e fa uno scatto in avanti verso la porta. Suo padre si gira e cerca di nuovo di stenderla con un calcio. Non ci riesce stavolta, è già troppo lontana. Dove non arriva lui però, arriva la sua doppietta. BANG: sua figlia rovina a terra di faccia. Sulla sua schiena un buco grosso come quello che sua nonna ha sullo sterno.

Il sangue è dappertutto: sui muri, sul tavolo, per terra, su mia moglie, su mia nipote, su quel che rimane di mia figlia, sul MARITOzzo, su di me. La stanza sembra un enorme scatola dagli interni rossi. Sembra che qua dentro ci sia scoppiata una latta gigante di vernice rossa.
In questa stanza degli orrori, tutti sverrebbero. Io no. Dovrei vomitare, piangere, disperarmi, ma non sento nulla. Devo aver esaurito ogni emozione, ogni sentimento.

Il MARITOzzo suda. Carica altre due cartucce.
Mette la punta del fucile sul cuore di mia figlia, sua moglie. Ora lui piange, sembra tornato umano. Dai moncherini di sua moglie escono alternati copiosi fiotti di sangue. Ogni pompata del cuore, un fiotto. Lei lo guarda stremata, non urla più, forse sta perdendo conoscenza, ma prima che lo faccia…
BANG!
Il corpo di mia figlia ha uno spasmo in avanti, poi si affossa sulla poltrona come un pupazzo sgonfio. Senz’anima.
Resto solo io.
Il MARITOzzo si gira verso me.
Grazie Dio, grazie di avermi mandato questo angelo della morte, in questo giorno di gioia e letizia. Grazie.
Sorrido, anche se probabilmente i miei muscoli facciali non si muovono. Beh, sorrido comunque. Sorrido dentro.
L’emissario di Dio viene verso di me. L’ultima pallottola è per me. Mia!
Babbo Natale, dammi il mio regalo.
Chiudo gli occhi. Sono pronto. Signore, sono pronto…
Trascorrono attimi che sono anni, secoli. Non succede nulla però: perché non si decide a spararmi?
Riapro gli occhi: Babbo Natale tiene il fucile in mano, ma non me lo sta puntando addosso. Si avvicina al mio orecchio. Sussurra:
“Avevi ragione riguardo a tua figlia, ma ora ho sistemato tutto. Ho vendicato pure te, non siamo più dei MARITozzI.”.
Mi fa l’occhietto. Poi si allontana. Gira il fucile verso di se, infilandosi la punta delle canne in bocca.
Nooooo. Urlo. No, cazzo no. Quella pallottola è mia. E’ mia! Gli urlo che che deve ammazzare prima me. Urlo, ma ciò che sente è solo un mugugno. Un lungo lamento. Wojtyla docet.
E poi, BANG!
Pezzi di scatola cranica e di cervello del MARITOzzo si sfracellano sulla parete. Il suo corpo cade sulle ginocchia, poi tutto in avanti, sopra sua figlia. Morto. Morto stecchito. Quello che doveva essere il mio salvatore è morto.
Tutti morti, tranne io.
Stronzo di un MARITOzzo. Ha fatto bene mia figlia a piantarti in asso. Coglione! Figlio di puttana! Idiota di un idiota! Che cazzo hai fatto? Stupido imbecille! Merda umana! Perché non m’hai ucciso? Eh?!? Che ti costava? Stronzo! Vaffanculo! All’Inferno devi andare! Perché m’hai lasciato vivere? Capra, ecco cosa sei: una capra! Stupida capra! Cornuto!
Ma un momento! Oh mio Dio! Ma che sto dicendo? Non devo esser così cattivo. In fondo, è Natale.

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MARITOzzo by Jacopo Marocco is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.
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