Il Vento in una Stanza (seconda ed ultima parte)

2.
I medici dicono che tra venti giorni mi toglieranno le bende.
Non so il numero di operazioni che ci vorranno per far tornare al mio viso sembianze umane.
Sul comodino, vicino al letto, c’è un mazzo di fiori. Un penoso mazzo di fiori portato dai miei compagni di classe. Ipocriti. Per fortuna quando sono venuti dormivo e l’infermiera non mi ha svegliata. Se ne sono andati via subito. Ah, benedetti sedativi.

Casa non è crollata completamente, ma continua a leggere…

Il Vento in una Stanza (prima parte)

1.
Ho tappato ogni minimo buco, ogni fessura di questa dannata stanza e, mentre dico ciò, dovrei essere alla numero centosessantadue. Più o meno.
Centosessantatré.
Centosessantacinque.
Centosessantasei.
Credo di aver fatto un ottimo lavoro. Minuzioso.
Centosessantasette.
Centosessantotto.
Certo, per fare una cosa proprio precisa ci sarebbe voluto del silicone, ma io precisa non lo sono mai stata e così mi sono arrangiata con un po’ di continua a leggere…

BUKKAKE (seconda e ultima parte)

5.
Crescendo, iniziai a farmi un sacco di domande. Soprattutto su mio padre. Non so perché, ma non avevo verso di lui quella stima incredibile che provavano invece i miei fratelli e che li portava a prendere per giusto, vero e certo ogni cosa da lui pronunciata. Accumulai dubbi su dubbi.
Poi, un giorno, non resistetti più, così chiesi a nostro padre quello che forse non dovevo chiedergli. Gli chiesi come mai, visto che eravamo nobili, non abitavamo in una reggia o comunque in qualcosa di più lussuoso di un appartamento di trenta metri quadri in periferia, dove vivevamo compressati come clandestini in continua a leggere…

BUKKAKE (prima parte)

È opportuno che ognuno metta in conto che nella propria vita vedrà delle cose a cui non crederà. Siano esse belle o brutte, in ogni caso ci saranno cose che lo lasceranno sbalordito, a bocca aperta, e sebbene tutto ciò io l’avessi messo in conto, quello che vidi quando entrai in quella stanza fu qualcosa che neanche nel più terribile dei miei incubi avrei potuto immaginare.

1.

Qui ed ora, in questa sala d’attesa, senza quadri, senza una pianta e con solo tre sedie mezze arrugginite, penso. Penso al giorno del mio matrimonio. Più precisamente, alla sera del giorno del continua a leggere…

Villa Rometti (terza e ultima parte)

La leggenda della figlia del Conte veniva fuori spesso quando ci si ritrovava a parlare di storie di paura, di fantasmi, insomma di cose paranormali. Era la leggenda più famosa del paese proprio perché riguardava qualcosa che era parte del patrimonio di quella piccola comunità. Qualcosa che portava il fascino del paranormale, dell’inspiegabile, anche in quello sputo di paese.
Secondo questa leggenda, secoli addietro – nessuno sapeva con precisione quanti – Villa Rometti apparteneva ad un conte, il conte che poi diede il nome alla villa. Il Conte Rometti, appunto. Questo conte era padrone, oltre che della villa, di quasi continua a leggere…

Villa Rometti (seconda parte)


2.
Quella sera cenai. Come al solito mia nonna mi aveva preparato un sacco di portate: un primo, due secondi, diversi contorni. Sembrava più che fossi al pranzo di un matrimonio che ad una semplice cena a casa. Mangiai tutto: mi piaceva quello che mi preparava e poi sarà stata l’estate o sarà stato il posto, ma avevo sempre appetito quando stavo da lei.
Finito di mangiare decisi di uscire e di andarmi a fumare due o tre tiri di sigaretta da qualche parte, come facevano quelli che fumavano sul serio, che fumavano dopo i pasti per “digerire”. Ma più di tre continua a leggere…

Villa Rometti (prima parte)

PROLOGO
Se non fosse successo quello che poi successe, sono sicuro che nei tempi a venire avrei ricordato quella serata come la più bella e la più fortunata della mia vita. Ma quello che non doveva succedere, successe. E quella serata, ora, la considero la più sfortunata e la più brutta della mia vita.

1.
D’estate i miei mi mandavano per le vacanze a stare da mia nonna.
La cosa non mi dispiaceva perché alla fine lei non mi dava mai noie, e non mi dava orari o particolari limiti, ero molto libero quando stavo da lei. Le importava solo che mangiassi, tanto e sempre. Alla fine di ogni estate passata da lei, ero ingrassato sempre di quattro o cinque chili. Era ossessionata dal cibo, continua a leggere…

Due stanze dopo

1.
Agli investigatori dirò che quello che avevo trovato lì, non lo avevo mai trovato da nessun’altra parte. E non si può dire che non avessi cercato: ero stato con donne, con uomini. Con donne e uomini contemporaneamente. Disperato, era andato perfino con animali, ma niente. Avevo pensato anche ai bambini, ma fortunatamente la cosa mi ripugnava.
Le avevo provate tutte: mi ero fatto continua a leggere…

La Fatina dei Denti

1.
Tom guardava la TV, guardava Willie il coyote che inseguiva Road Runner, l’uccello azzurro che faceva quello strano verso, bip bip, e che tutti pensavano fosse uno struzzo e che invece no, non era uno struzzo, ma, gli aveva spiegato una volta suo padre, un uccello dei deserti americani, chiamato volgarmente Roadrunner, corridore della strada.
Sua madre gli andò vicino, gli mise davanti una fetta di pane con sopra spalmato del burro d’arachidi e disse:
“Ecco la merenda, io vado, ci vediamo dopo.”
Tom annuì e, senza distogliere gli occhi dal televisore, prese la fetta di pane in mano. Distrattamente continua a leggere…

MARITOzzo

Roma. 25/12/2008. Ore 18:00

Alla tv danno Edward Mani di Forbice. Un classico a Natale. Lo danno sempre.
La mia tristezza cresce.
La malinconia dilaga.
Cambio canale: c’è un presentatore, è schizzato. Dai primi piani si vede bene che ha le pupille dilatatissime. Ha gli occhi di un gatto di fronte ai fari di un auto. Il presentatore cocainomane si raccomanda col pubblico: “Siate più buoni, è Natale”.
Giro canale: cambia presentatore, ma è chiaro che ha lo stesso vizio del collega. Anche lo slogan è uguale: “Siate più buoni, è Natale”.
Natale, Natale, Natale… continua a leggere…